L’IA sta cambiando il food marketing: ecco come

Il mondo del food marketing non è più quello di una volta. Alla recente Food Marketing Conference della Western Michigan University si è parlato tantissimo di come tutto stia cambiando molto velocemente, e indovinate chi è la star del momento? L’intelligenza artificiale, ovvio.

L’IA nel food marketing: non è più solo una moda

Non stiamo parlando di una tendenza passeggera. L’IA sta proprio rivoluzionando il modo in cui le aziende alimentari fanno marketing, e non è più solo una cosa da “nerd tecnologici”. Durante la conferenza, il Dr. Russell Zwanka l’ha messa giù così: “Come esperti di marketing, dobbiamo capire come parlare a un bot o a un agente IA. Questo toglie l’emozione della decisione”.

È un bel problema, se ci pensate. Da sempre il marketing alimentare gioca sulle emozioni – quante volte abbiamo comprato qualcosa solo perché la pubblicità ci ha fatto venire l’acquolina in bocca? E ora dobbiamo fare i conti con algoritmi e bot che prendono decisioni in modo completamente diverso.

Il Dr. Brian Harris, che molti considerano il “padre del category management”, ha detto una cosa interessante: “Penso che siamo sulla rampa di lancio di una nuova generazione di metodi di category management guidati dall’IA”. In pratica, quello che prima richiedeva settimane di lavoro, ora l’IA lo fa in pochi giorni. Mica male, no?

Stando ai numeri, questa rivoluzione non è da poco. Il mercato dell’IA nel settore alimentare dovrebbe raggiungere quasi 49 miliardi di dollari entro il 2029. Una cifra enorme che dimostra quanto le aziende ci stiano puntando forte.

A cosa serve davvero l’IA nel settore alimentare?

Ma insomma, l’IA nel food marketing a cosa serve in concreto? Tanto per cominciare, sta cambiando il modo in cui gli alimenti vengono selezionati e smistati. Gli algoritmi di riconoscimento visivo sono ormai in grado di distinguere le dimensioni, la maturità e la qualità degli alimenti molto meglio (e più velocemente) di quanto potrebbe fare un essere umano.

Poi c’è tutto il discorso del controllo qualità e sicurezza. L’IA monitora costantemente i dati di produzione e può individuare problemi potenziali prima che diventino disastri veri e propri. E questo è fondamentale per proteggere sia la reputazione del brand che la salute dei consumatori.

Un altro aspetto interessante è la manutenzione predittiva. Invece di aspettare che qualcosa si rompa, l’IA può prevedere quando un macchinario avrà bisogno di manutenzione, evitando così costose interruzioni della produzione. Pensate ai soldi che si risparmiano così!

Elizabeth Buchanan di NielsenIQ ha toccato un punto dolente per molti brand: “L’IA giocherà un ruolo importante su come gestire efficientemente le reti di retail media. Ci sono circa 300 reti di retail media che sono già emerse. E se sei un marchio, questo è incredibilmente scoraggiante”. In effetti, come fai a decidere dove investire i tuoi soldi con tutte queste opzioni? Ecco dove l’IA può dare una mano, aiutando ad ottimizzare gli investimenti.

Chatbot e IA conversazionale: non sono più quelli di una volta

Vi ricordate i vecchi chatbot che capivano una parola sì e tre no? Beh, dimenticateli. L’IA conversazionale di oggi è tutta un’altra storia. Le aziende alimentari stanno usando chatbot sempre più sofisticati per offrire esperienze personalizzate ai clienti.

Prendiamo Lavazza, per esempio. Hanno implementato un assistente virtuale che aiuta i clienti durante il processo di acquisto degli abbonamenti online. E funziona davvero: più dell’85% dei clienti ha detto di essere contento dell’interazione con il bot. Non male, eh?

E che dire di Just Eat? Hanno creato un chatbot su WhatsApp per aiutare i ristoratori a gestire le modifiche ai menu e ai servizi. Nei primi sei mesi, questo assistente virtuale ha parlato con più di 4.000 ristoratori e ha gestito da solo l’86% delle richieste. Pensate a quanto tempo risparmiato!

Ma l’IA conversazionale fa molto di più. Può suggerire ricette in base alle preferenze alimentari, consigliare prodotti che potrebbero piacere e persino offrire promozioni personalizzate in base agli acquisti precedenti. È come avere un personal shopper sempre a disposizione.

Programmi fedeltà: c’è tanto da migliorare

A proposito di personalizzazione, parliamo dei programmi fedeltà. Secondo Lori Stillman della NACS, i programmi fedeltà sono cambiati parecchio negli ultimi anni. Dalle vecchie tessere a punti siamo passati a sistemi molto più sofisticati, con ricompense personalizzate utilizzabili su diversi prodotti e piattaforme.

Ma c’è un problema: stando ai dati dell’Osservatorio Fedeltà UniPR, solo l’11% delle aziende italiane è soddisfatto dei propri programmi fedeltà. Un numero bassissimo se confrontato con la media internazionale del 56%. Come mai questa differenza? Probabilmente perché molti programmi italiani sono vecchi: il 46% ha più di 10 anni, mentre solo l’8% è stato lanciato nell’ultimo anno.

Come ha fatto notare il Dr. Zwanka, “A volte, nei programmi di fedeltà, si inseguono le persone che sono andate via piuttosto che quelle che sono rimaste”. Questa è una verità sacrosanta: spesso si concentra l’attenzione talmente tanto sul recuperare i clienti persi che capita di dimenticarsi di coccolare quelli fedeli.

Qualcuno però si sta già muovendo in direzioni nuove. MD, per esempio, ha lanciato una carta fedeltà basata sul cashback allargato. Come ha spiegato Alessandro Santagata di MD, “Il progetto non si limita al solo perimetro dell’offerta della nostra insegna, ma abbraccia un ampio spettro di prodotti e servizi proposti da realtà terze”. In pratica, i punti accumulati possono essere usati per comprare di tutto, non solo prodotti MD. E pare che stiano pensando persino a trasformarli in fondi pensione o di investimento. 

Capire i clienti: non sono tutti uguali

Un altro aspetto fondamentale emerso dalla conferenza è l’importanza di capire davvero i propri clienti. I relatori hanno sottolineato che non basta più seguire il vecchio adagio secondo cui il cliente ha sempre ragione. La vera sfida del marketing moderno è comprendere che ogni cliente ha ragione rispetto al proprio bisogno specifico, che è unico e personale. È una distinzione sottile ma cruciale.

Nella pratica, non basta più dare semplicemente ragione al cliente o offrirgli delle soluzioni standard, oggi le aziende devono riuscire ad identificare i bisogni individuali che si celano dietro ogni comportamento d’acquisto. Questo richiede una sfumatura in più nell’approccio alla segmentazione del mercato, che superi la barriera delle categorie demografiche tradizionali per tenere in considerazione variabili comportamentali e psicografiche ben più complesse.

Ad esempio, due persone che appartengono allo stesso gruppo demografico potrebbero essere portate all’acquisto di un prodotto per ragioni completamente differenti: magari una per convenienza e l’altra solo per la qualità percepita. Arrivare a capire queste differenze permette ai marketer di dare il giusto tocco di personalizzazione non solo all’offerta ma soprattutto alla comunicazione, creando così delle connessioni più autentiche e significative con il consumatore.

La stessa logica si applica ai diversi brand di un’azienda. I leader di Kraft Heinz hanno evidenziato durante la conferenza come sia fondamentale sviluppare voci distintive per ciascuno dei loro marchi principali. Un colosso come Kraft Heinz gestisce numerosi brand da miliardi di dollari, ciascuno con un suo posizionamento specifico e un pubblico di riferimento diverso. Il formaggio Philadelphia e la senape Gray Poupon, per esempio, si rivolgono a consumatori con aspettative, abitudini e valori completamente diversi.

Applicare la stessa strategia comunicativa o lo stesso tone of voice a tutti i prodotti sarebbe un errore madornale. Ogni brand necessita di una sua personalità distintiva, un suo linguaggio e un suo approccio al mercato. Questo è particolarmente importante nell’era dell’IA, dove la personalizzazione è diventata la norma e i consumatori si aspettano che i brand parlino direttamente alle loro esigenze individuali.

Le aziende che riescono a orchestrare efficacemente queste diverse “voci” di brand sono quelle che ottengono i migliori risultati in termini di fedeltà e posizionamento sul mercato. Non si tratta solo di differenziazione per il gusto di differenziarsi, ma di un autentico rispetto per le diverse identità dei consumatori che scelgono ciascun prodotto.

E domani? L’IA nel food marketing del futuro

Se si vuole dare un’occhio al futuro, l’IA promette di rivoluzionare con una maggiore impronta il settore alimentare. L’analisi predittiva diventerà sempre più sofisticata, e questo permetterà alle aziende di intuire meglio le tendenze e le preferenze di ogni consumatore. La robotica avanzata, sostenuta dall’IA, continuerà a cambiare le linee di produzione, dando manforte all’efficienza e alla precisione

E poi c’è tutta la questione di come l’IA cambierà il modo in cui promuoviamo cibi sani e prodotti per il benessere. Parliamoci chiaro, la gente pone sempre più attenzione alla salute e alla sostenibilità, no? Ecco, l’IA può fare davvero la differenza qui. Pensate a sistemi che possono dirti “ehi, viste le tue esigenze, questo prodotto potrebbe fare al caso tuo” o che ti raccontano tutta la storia di come quel cibo è arrivato nel tuo piatto. 

Non parliamo di roba da poco, perché ormai tutti vogliono sapere cosa stanno mangiando, senza dimenticarne la provenienza. Le aziende che capiranno come usare l’IA per dire “guarda quanto siamo bravi con l’ambiente” o “questo fa bene alla tua salute” in modo credibile… beh, quelle avranno sicuramente una marcia in più. Perché, diciamocelo, il mercato ormai va in quella direzione, che piaccia o no.

In conclusione

Non c’è dubbio: l’IA sta cambiando radicalmente il modo in cui le aziende alimentari fanno marketing. Dalla produzione al customer engagement, dai programmi fedeltà all’ottimizzazione della catena di approvvigionamento, l’IA sta ridefinendo ogni aspetto del settore.

Come ha detto Kristina Cole di Danone Nord America, “Usare l’IA non è barare”. È semplicemente uno strumento potente che, se usato bene, può portare a risultati straordinari. Le aziende che sapranno sfruttare al meglio questa tecnologia avranno un vantaggio competitivo enorme. Quelle che resteranno indietro, beh… diciamo che potrebbero trovarsi in difficoltà. L’IA nel food marketing non è il futuro: è già qui, ed è qui per restare. Meglio farci i conti, no?

Food4Mind | Scopri come l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il food marketing, dalla produzione alla personalizzazione dell’esperienza cliente

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Marco Foti

Nato con la penna in mano e il palato raffinato, Marco Foti è il volto dietro il blog di Food4Mind e il social media writer per alcuni dei clienti più importanti dell'agenzia. La sua storia inizia con la passione per il cibo, un amore che negli anni lo ha portato a lavorare in un mondo tutto da scoprire, pregno di storie da condividere. Nel 2023, Marco ha deciso di unire questa passione a quella per la scrittura e raccontare da sé tutto ciò che questo mondo ha da offrire.

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