Il settore HoReCa tra crisi e innovazione: cosa sta succedendo davvero

Chi lavora nel mondo del food lo sa bene: il settore horeca sta attraversando un momento particolare. Da un lato si hanno numeri che sembrano incoraggianti, dall’altro una realtà quotidiana fatta di difficoltà concrete che ogni ristoratore, albergatore o gestore di bar nel mondo horeca conosce perfettamente. È una situazione che merita di essere raccontata senza filtri, perché solo capendo davvero cosa sta succedendo si possono costruire strategie di comunicazione che funzionano.

I numeri raccontano solo metà della storia

Partire dai dati è fondamentale: 1,5 milioni di occupati nel settore, con una crescita del 5% negli ultimi due anni. A primo impatto sembra una cosa positiva. Il problema è che dietro questi numeri c’è una realtà ben diversa. Le posizioni vacanti sono oltre 250mila, concentrate soprattutto su camerieri, pizzaioli, baristi e cuochi. Praticamente le figure che tengono in piedi il settore horeca.

Ora, è vero che il mercato del lavoro in generale sta crescendo, ma qui c’è qualcosa che non quadra. Come mai in un settore in espansione si fa così fatica a trovare personale? La risposta è più complessa di quanto si possa pensare e tocca questioni che vanno ben oltre la semplice domanda e offerta.

Il punto è che molti giovani quando guardano al settore della ristorazione e dell’ospitalità vedono principalmente precarietà. Non è solo una percezione sbagliata: spesso è la realtà. Orari impossibili, weekend sempre occupati, pressioni elevate durante i picchi stagionali. E poi c’è la questione economica, che non è secondaria.

La questione stipendi nel mondo horeca: parliamone seriamente

E’ necessario fare due conti per bene. Un cameriere di quarto livello prende circa 1.650 euro lordi al mese. Già così non è una cifra che fa saltare dalla sedia, ma se consideriamo che al netto delle tasse e contributi rimangono circa 1.300 euro, la situazione diventa più chiara. A Milano o Roma, con questi soldi, è difficile anche solo trovare una stanza in affitto decente.

E si sta parlando di figure qualificate del settore horeca, non di principianti. Per chi inizia, le cifre sono ancora più basse. È normale che un ragazzo di vent’anni, di fronte a queste prospettive, preferisca cercare altro. Magari un lavoro d’ufficio che gli lasci liberi i weekend e gli garantisca uno stipendio più stabile.

Ma il problema non finisce qui. C’è tutto il discorso del lavoro senza contratto regolare, che purtroppo in horeca è ancora troppo diffuso. I dati parlano chiaro: 9 addetti su 10 hanno avuto esperienze di lavoro irregolare. Più della metà dichiara di lavorare attualmente con qualche forma di irregolarità, dai contratti fantasma ai turni non dichiarati. Le ispezioni confermano questo scenario: 3 aziende su 4 hanno irregolarità, e al Sud la percentuale sfiora il 95%.

Come comunicare in un settore così complesso

Per chi si occupa di comunicazione nel settore horeca, tutto questo rappresenta una bella sfida. Come si fa a raccontare un settore pieno di contraddizioni? Da una parte si hanno le storie di successo, i programmi televisivi, i social pieni di piatti perfetti e cucine scintillanti. Dall’altra la realtà quotidiana di chi lavora davvero in questo mondo.

La tentazione è sempre quella di dipingere tutto rosa, di concentrarsi solo sugli aspetti glamour. Ma è un errore, perché il pubblico oggi non è stupido. L’utenza capisce quando il social media marketing è gestito bene e quando invece è solo marketing vuoto. E poi, bisogna dirla tutta, non si rende un buon servizio né ai clienti né al comparto horeca se si continua a fingere che tutto vada bene.

La comunicazione più efficace è quella che riesce a bilanciare le cose. Raccontare le eccellenze, sì, ma anche essere onesti sulle difficoltà. Mostrare che esistono imprenditori che investono davvero sui loro collaboratori, che ci sono storie di crescita professionale autentica, che il settore può offrire opportunità concrete. Ma senza nascondere la polvere sotto il tappeto.

Basta con la retorica del “seguire la passione”

Un altro punto che va approfondito: bisogna smettere con questa storia che nel food basta avere passione e tutto si risolve. La passione è importante, sicuramente, ma non può essere l’unica cosa che si offre. Soprattutto non può essere la scusa per giustificare condizioni di lavoro inaccettabili.

I programmi televisivi hanno fatto molto male al settore da questo punto di vista. Hanno creato l’idea che lavorare nel food sia sempre divertente, sempre creativo, sempre gratificante. La realtà è che come tutti i lavori, anche in quelli del settore horeca, ci sono i momenti belli e quelli meno belli. Ci sono le sue routine, le sue frustrazioni, i suoi aspetti più meccanici. E questo va detto chiaramente.

Quello che si dovrebbe fare è valorizzare la professionalità vera. Spiegare che diventare un bravo cuoco o un cameriere esperto richiedono anni di formazione. Che dietro un piatto ben presentato o un servizio impeccabile ci sono competenze tecniche precise. Che il mestiere ha una sua dignità che va riconosciuta anche economicamente.

L’innovazione che può cambiare le sorti dell’horeca

Mentre il settore horeca si dibatte con questi problemi strutturali, però, sta succedendo qualcosa di interessante. Stanno iniziando ad emergere soluzioni tecnologiche che potrebbero davvero fare la differenza, come l’ingresso dell’IA nella ristorazione. Non si parla di gadget o di app inutili, ma di strumenti che aiutano a rendere il lavoro più efficiente e meno stressante.

Si prenda l’esempio della digitalizzazione degli ordini. Sembra banale, ma quanti errori si potrebbero evitare, e quanto tempo si potrebbe risparmiare? Un cameriere che non deve più fare avanti e indietro dalla cucina per assicurarsi che un ordine sia già pronto, può dedicare più tempo al cliente. Un cuoco che riceve ordini chiari e precisi, a sua volta, può lavorare meglio e con meno stress.

E poi c’è tutto il discorso dell’IA applicata alla gestione delle scorte, alla previsione dei flussi di clienti, all’ottimizzazione dei turni. Strumenti che possono aiutare davvero a migliorare l’organizzazione del lavoro.

Il bello è che queste tecnologie non vanno a sostituire l’elemento umano, ma sono uno strumento che serve a potenziarlo. Un ristorante più organizzato è un posto dove si lavora meglio. E dove si lavora meglio, si offre anche un servizio superiore al cliente.

Tradizione e modernità: non è una battaglia

C’è chi ha paura che tutta questa tecnologia vada a snaturare l’ospitalità italiana. Come se usare un tablet per prendere le ordinazioni facesse perdere il calore umano del servizio. Si può tranquillamente dire che è un falso problema.

La tecnologia, se usata bene, libera tempo per quello che conta davvero. Se un sistema digitale aiuta a gestire meglio le scorte, si può dedicare più tempo a scegliere i fornitori migliori. Se si automatizza la parte burocratica, si può concentrare maggiore energia sulla creatività in cucina. Se si elimina l’errore negli ordini, il cliente è più soddisfatto e il cameriere sicuramente meno stressato.

Nel mondo horeca, il punto è trovare il giusto equilibrio. Non si tratta di trasformare i ristoranti in laboratori asettici, ma di usare gli strumenti che si hanno a disposizione per lavorare meglio. E poi, è necessario dirlo: i giovani che si vogliono attirare nel settore sono cresciuti con la tecnologia. Per loro è naturale.

I consumi stanno cambiando (e non è sempre un male)

Un’altra cosa interessante che sta succedendo è l’evoluzione delle abitudini di consumo. Le nuove regole del codice della strada hanno avuto un impatto notevole: quasi la metà degli italiani dice di voler cambiare le proprie abitudini quando esce. Meno alcol, più attenzione alla qualità, scelte più consapevoli.

All’inizio molti hanno visto questa trasformazione come una minaccia. In realtà, può essere un’opportunità per il settore horeca. I consumatori che bevono meno spesso sono disposti a spendere di più per qualità migliore. C’è spazio per cocktail analcolici creativi, per birre artigianali a bassa gradazione, per esperienze gastronomiche che non ruotano necessariamente intorno all’alcol.

E poi ci sono tutti questi trend nuovi: la “sober curiosity”, lo “zebra striping”. Nomi strani per dire che la gente sta diventando più attenta a quello che consuma. Non è necessariamente un male per il settore, basta sapersi adattare.

La qualità vince sempre, ma va comunicata bene

Una cosa che si è notata negli ultimi anni è che i consumatori sono sempre più disposti a pagare per la qualità, ma vogliono capire cosa stanno pagando. Non basta più dire “è artigianale” o “è di qualità”. Bisogna spiegare perché, raccontare la storia, far capire il valore.

Questo vale per tutto: dagli ingredienti alla preparazione, dal servizio all’ambiente. La gente vuole sapere da dove vengono i prodotti, come vengono lavorati, che impatto hanno sull’ambiente.

La comunicazione nel food marketing diventa quindi sempre più importante, ma deve essere una comunicazione vera. Non si tratta di inventare storie, ma di raccontare bene quello che già c’è. E se non c’è niente da raccontare, forse è il caso di chiedersi come migliorare.

La direzione che sta prendendo il settore horeca

Il settore horeca sta attraversando una fase di transizione che probabilmente durerà ancora qualche anno. Le sfide sono reali: mancanza di personale, concorrenza agguerrita, consumi che cambiano, costi che aumentano. Ma ci sono anche opportunità per chi le sa cogliere.

La strada passa sicuramente attraverso un miglioramento delle condizioni di lavoro. Non si può continuare a pensare che la passione basti a compensare stipendi bassi e orari impossibili. Serve investire nella formazione, nella tecnologia e nel benessere dei lavoratori.

Dal punto di vista della comunicazione, serve più autenticità e meno retorica. I consumatori apprezzano la sincerità e sanno riconoscere chi cerca davvero di fare bene il proprio lavoro. Non serve inventarsi storie mirabolanti: spesso le storie più belle sono quelle più semplici e vere.

E poi serve guardare al futuro con ottimismo, ma anche con realismo. Il settore del food italiano ha ancora molto da offrire, ma deve evolversi. Chi riuscirà a combinare la tradizione con l’innovazione, la qualità con la sostenibilità, la passione con la professionalità, avrà buone possibilità di successo.

Alla fine, quello che conta davvero è creare valore: per i clienti, per i lavoratori, per il territorio. E una comunicazione efficace è quella che riesce a raccontare questo valore in modo credibile e coinvolgente. Non è facile, ma è possibile. Basta essere onesti e lavorare bene.

Marco Foti

Nato con la penna in mano e il palato raffinato, Marco Foti è il volto dietro il blog di Food4Mind e il social media writer per alcuni dei clienti più importanti dell'agenzia. La sua storia inizia con la passione per il cibo, un amore che negli anni lo ha portato a lavorare in un mondo tutto da scoprire, pregno di storie da condividere. Nel 2023, Marco ha deciso di unire questa passione a quella per la scrittura e raccontare da sé tutto ciò che questo mondo ha da offrire.